Capitolo Primo
Parte seconda
Finalmente, dopo un viaggio che parve eterno, arrivammo a Baricella. Imboccata la via Pedora l’insegna del Chicago[1] ci accolse e guidò come un faro fino all’ingresso del locale.
Entrati nella affollatissima discoteca, la musica subito
ci avvolse calda. In consolle come al solito c’erano i due DJ resident. Oltrepassammo il bar per
dirigerci al lato destro della pista, dove c’era la seconda scala che portava
su alla galleria. Lì vicino incontrammo tutti i ragazzi della mia comitiva “la
compagnia dei bolognesi”, come presero a chiamarci coloro che venivano da altre
città. Tanti, ragazzi e ragazze, così diversi tra loro ma uniti come non mai; ragazzi
con tanti sogni in testa, con la voglia di cambiare, forse tutto, forse niente,
tante speranze, così tanta vita ancora.
Tra loro notai subito Zanna che, appena mi vide,
sorrise e con un gesto rapido si spostò i lunghi capelli biondi dietro le
orecchie.
«Ciao, Lungo. Ciao, ragazzi.»
«Ciao, Zanna.» Ero contento di rivederlo. Ci abbracciammo.
Io e Zanna eravamo affratellati oramai da una franca amicizia nata proprio dentro
al Chicago.
Dopo finii di salutare la compagnia. Cinzia, la mia
amica del cuore, fu l’ultima. La Cinzia era bella come il sole, soprattutto
quando sorrideva perché coinvolgeva anche i profondi occhi scuri che le illuminavano
il viso dolce contornato da lunghi capelli neri.
Io e Cinzia eravamo solo amici oramai. Una notte a
Lazise, sulle rive del Lago di Garda, dopo una serata trascorsa alla discoteca
Cosmic[2],
io e Cinzia finimmo per dormire assieme, complici le numerose canne che avevano
allentato i nostri freni inibitori. Quella notte scopammo, infilati stretti nel
mio sacco a pelo.
La mattina dopo, Cinzia mi ignorò completamente per
tutta la domenica. Prima di tornare a casa, davanti a un caffè, in un bar
lungolago, trovai il coraggio di prenderla da parte e parlarle.
«Riguardo a stanotte?», le chiesi mentre, con fare nervoso,
giravo il cucchiaino nella tazzina.
Lei mi scrutava seria con i profondi occhi scuri. «Stanotte,
Lungo, è stato molto bello davvero. Ne avevo voglia e avevo voglia di farlo con
te, credimi; però, se ti dico la verità, prometti di non prendertela?»
Annuii mentre continuavo a tormentare la tazzina
col cucchiaino.
«Vedi, Lungo, è semplice: io non sono fatta per
fermarmi. Non ora almeno, mi voglio solo divertire, tutto qua.»
Me lo immaginavo che avesse quello da dirmi, ma fui
comunque assalito da imbarazzo e distolsi lo sguardo. In cuor mio faticavo ad
accettare di essere stato scaricato così presto da lei. Mi chiusi nelle spalle
e riuscii solo a mormorare un lapidario: «Va bene anche per me.»
Buttai giù il boccone amaro e accettai la sua
decisione. Col tempo imparai ad apprezzare il suo modo diretto e sincero di
dire le cose, e io, che ero già contento di averla avuta almeno per una notte,
finii per donarle la mia amicizia. Entrammo persino in confidenza, tanto che spesso
mi divertivo a indicarle le ragazze che mi piacevano per chiederle sempre un
parere o un consiglio, in un sottile gioco psicologico a cui lei sottostava
volentieri con quella leggerezza tutta femminile che mi faceva impazzire.
Io e Cinzia ci abbracciammo e ci scambiammo due innocenti
baci sulla guancia.
«Ho saputo che hai rotto con la Monica, Lungo.»
«No, non ho rotto con la Monica, mi ha mollato lei,
ma meglio così: era già da un mese che ci frequentavamo e la cosa cominciava a
starmi stretta», mentii, e d’istinto abbassai lo sguardo.
«Sì, certo», commentò lei scettica. «Monica ti
piaceva eccome.»
«Ti sbagli, per me era solo sesso, magari buon
sesso ma sempre e solo sesso.» Sorrisi mentre la guardavo dritto negli occhi.
«Sì, sì, solo sesso? Doveva essere proprio vero,
Lungo.» Gli occhi le brillarono furbetti.
«Sei terribile», mugugnai.
«Lo so», confermò compiaciuta.
«Sei proprio bella per questo, perché sei vera.»
Ci scambiammo delle occhiatine complici e finimmo
per ridere tutti e due di gusto.
«Oh! Avete finito di tubare voi due?», ci strepitò
contro Zanna per farsi sentire nel caos della discoteca. «Ragazzi, ho saputo da
amici di Padova che c’è una discoteca molto bella vicino alla loro città. Mette
su bellissima musica afro ed è molto ben frequentata, si chiama Arena Disco[3].
È a Solesino, un paese prima di Padova, venendo da Bologna. Noi e il resto
della compagnia avremmo deciso di andarci a fare un salto domani. È aperta la
domenica pomeriggio e ci vuole poco più di un’ora per arrivarci. Che ne dite
voi due?»
«Per me va benissimo, Zanna, e credo di parlare
anche per gli altri due spostati dei miei amici, tanto non avevamo programmi
particolari domani né avevamo voglia di andare al Panda[4],
a Nonantola.»
Zanna annuì soddisfatto. «Perfetto, Lungo. E tu,
Cinzia, che ne pensi? Verrai con le tue amiche?»
«Perché no, sembra un programma interessante», rispose
lei.
«Okay, allora è fatta. Ci vediamo domani alle quattordici
alla stazione delle corriere a Bologna», affermò Zanna molto soddisfatto.
Io gli sganciai uno sguardo interrogativo. «Zanna, guarda
che se mi tiri un bidone ti prendo a calci nel sedere», lo minacciai.
«Tranquillo, Lungo, a te basta che ci siano delle
ragazze e ti va sempre bene, e mi hanno detto che di belle ragazze l’Arena
Disco è piena. Vedrai, scommetto che troverai qualcuna che ti farà dimenticare
presto la Monica», mi disse per prendermi in giro.
«Sei un demente, Zanna», rimbeccai sorridendo.
«E te la mia “merdina molle”, Lungo.»
«È vero, sono la tua “merdina molle», ripetei
divertito.
Tra noi due c’era da tempo quel modo di stuzzicarsi
in maniera affettuosa, quasi fraterna.
Luca Manaresi, detto Zanna per la somiglianza con
il personaggio Zanardi di Andrea Pazienza, era un ragazzo di appena diciotto
anni. Biondo, occhi azzurri, naso aquilino, una grande faccia da schiaffi,
ostentava sicurezza nei modi, cosa certo non facile alla sua età. Aveva quella
bellezza particolare che, abbinata alla condotta un po’ guascona, piaceva tanto
alle ragazze. Eppure Zanna era privo di quella bieca arroganza di chi faceva
della propria bellezza un’arma da usare con poco scrupolo. Questo fu uno dei
motivi che me lo fece piacere fin da subito.
Io e Zanna ci eravamo conosciuti al Chicago tramite
amicizie comuni e ci eravamo presi bene da subito, come se ci fossimo sempre
conosciuti, tanto che eravamo finiti a fumare assieme al Biccio le canne che il
Rosso rollava una dopo l’altra su in galleria: quest’ultimo, intuendo il legame
naturale tra me e lui, lo aveva accolto come un fratello dividendo il suo
preziosissimo fumo con lui.
La serata al Chicago andò avanti senza grandi
emozioni, almeno per me. Anzi, mi sentii stranamente triste e per un momento
ripensai alla mia ex ragazza di Modena, Monica, e al fatto che mi aveva appena
mollato. Trascorsi il restante tempo in discoteca a ballare in pista avvolto
dalla musica, cercando di non pensare a nulla. Poi, come al solito, finii in
galleria a stordirmi di canne assieme ai miei amici del cuore, convinto che una
“fattanza[5]”
ben fatta fosse meglio che piangersi addosso.
[1] Nata dalle ceneri della vecchia discoteca Pap, era
a Baricella nella bassa Bolognese. Divenne per elezione la mia discoteca. La mia seconda casa.
[2] Iconica discoteca situata a Lazise, sulle rive del Lago di
Garda. Un simbolo per tutta la tribù Afro.
[3] Da me ritenuta una delle discoteche più belle,
divenne da subito uno dei punti di riferimento nel panorama Afro nella zona di
Padova.
[4] Discoteca di Nonantola, nel Modenese, famosa per
la seconda sala, il “Pandino”, dove si mixava Afro.
[5] Condizione indotta dal fumare troppo hashish: la testa
girava leggera e si incominciava a ridere per un nonnulla; tutto rallentava,
compresi mente e corpo, e ci si sentiva in pace con sé stessi e con il mondo.