Dedicato a tutti voi

Capitava di stare sul muretto a fumare, chiuso nei miei pensieri, momenti stupendi dove l’unica mia preoccupazione era non fare assolutamente nulla se non dedicarmi all’osservazione di ciò che mi circondava, perdermi nell’ascolto del vociare dei ragazzi e delle ragazze, il sottofondo della musica, Paranà di Airto, che veniva fuori dagli stereo delle Dee DS, l’odore forte di patchouli che era frammischiato a quello del marocchino nelle canne o nei cilum. Sembrava di stare al Gran Bazar di Istambul, con lo stesso chiasso scomposto, gli stessi colori e odori speziati la stessa folla viva che si agitava con i suoi sorrisi e sguardi più veri e sinceri. Ci arrivavo a pomeriggio inoltrato al Columbus quando il sole, aranciato nei suoi raggi più caldi, colorava il piazzale mentre la brezza marina alleviava un po’ la calura di agosto. Allora me ne stavo lì col culo appoggiato a quel muretto, le gambe incrociate, i piedi scalzi, perché avevo rotto l’ennesimo paio di ciabattine indiane, palme nere di carbone, fruit bianca Camel in bocca a spostarmi veloce una ciocca ribelle dei miei lunghi capelli ricci. Occhi che si riducevano a due fessure per sopravvivere a quella luce tagliente che riempiva la scena possente nella sua calura. Nello stare lì in quel momento sentivo salirmi fin dentro le mie viscere, nel pulsare del sangue e del mio cuore che sincopato seguiva il ritmo di Amor en Jacuma di Dom Um Romao, un sentimento di appartenenza a quei ragazzi e quelle ragazze che animavano quella mezza crescente di asfalto che era il Piazzale Roma. Le ragazze… Che belle che eravate voi ragazze… l’Amore rivelato, il sesso più intrigante e appagante, voi che donavate voi stesse, regalo più bello, con il rossore che saliva a colorare le mie guance per la timidezza, al solo incrociare i vostri sguardi… E io che non ebbi mai il coraggio di dirvelo che eravate belle e che stupido che sono stato a non averlo fatto. E poi i ragazzi… Così pieni di vita e amicizia, con i quali potevi stare ore a parlare di tutto e nulla senza problemi, che stavano con te che nulla avevi e che ti accettavano per quello che eri, che non facevano mai domande imbarazzanti, che dividevano anche il poco che si aveva che stavano con te anche solo per ascoltare musica assieme e fumare sulle note struggenti di Sketch for summer dei The Durutti Column. In fin dei conti si riduceva a una stretta di mano piena tra pari, a due occhi che ti guardavano sorridendo, a due labbra morbide e dolci come le pesche rugiadose appena mature, a un cuore di fratello che divideva tutto a una carezza timida, ad un bacio rubato lì su quel muretto che era tutto per noi. Casa, rifugio, ritrovo, camera da letto, bar, cucina, bagno insomma Il Columbus era il tutto che riempiva la nostra giovane esistenza. È vero fumavamo e ci facevamo le canne, perché negarlo, faceva parte del nostro io… Un po’ di sballo lo ammetto, mi piaceva pure, faceva parte almeno per me, di un modo musicale di seguire la corrente, di lasciarsi andare con gli altri, un mood interiore, difficile da spiegare insomma un Umbarauma come cantava Jorge Ben. Fumavo la mia Camel e guardavo la mia tribù e ne percepivo l’energia che emanava in quello spazio, c’era la forza della giovinezza, l’energia della spensieratezza, e ora so il perché… Mi ci è voluto tempo ma ci sono arrivato. Eravamo liberi come non mai, vivevamo ed è questo che ci ha segnato tutti noi. Abbiamo vissuto la vita con animo colmo di gioia prima che le abitudini insopportabili, la routine, il lavoro, la pena straziante di fare tutti i giorni la stessa cosa avvelenasse il nostro spirito ed il marciume della vita cercasse di soffocare la nostra vitalità. Il bello è che il marciume non c’è riuscito a sporcare tutto, forse si è preso una parte di noi ma quella vitalità che ne era profusa a piene mani su quel muretto è rimasta immutata dentro di noi, custodita gelosamente nei nostri cuori. L’ho scritto nel romanzo noi eravamo altro, diversi in tutto e per tutto, liberi e dobbiamo esserne orgogliosi per quello che siamo diventati. La tribù, per me, è stata la mia famiglia allargata, la mia vera casa, i fratelli e le sorelle che non ho avuto, il sole che ti riscaldava e poi l’amore, tanto amore… Eravamo e siamo e la strada, per quelli come noi che l’hanno sempre macinata, sarà ancora lunga… E per sempre… magari ascoltando Our Roads di Lee Oskar.
Ciao Tribù… Ciao Ragazzi del Columbus.