Columbus Stories

Il Viaggio

Quello che importa in un viaggio non è mai stata la meta bensì il viaggio stesso. Viaggiando nelle assolate estati nella pianura padana o nei suoi nebbiosi inverni ciò che rendeva magico il tutto a venti anni, oltre che avere capelli lunghi e amici a dir poco unici e strani era il mio nomadismo che era poi quello di tutti gli altri. Se non ci fosse stato il viaggio di mezzo noi saremmo state persone diverse perché era il viaggio, il muoversi in carovane e gruppi, con le nostre auto DS o R4, Diane o 2CV o vespe e motorini a renderci come eravamo, singolari, irripetibili, mai scontati, un po’ zingari, un po’ marinai un po’ indiani anche se in modo unico, autentico.

Asfalto, tanto asfalto, e campi a perdita d’occhio, un oceano di colori che andavano dal verde acceso del granoturco al giallo del grano punteggiato dal rosso dei papaveri. E in mezzo a tutto questo c’era la nostra auto che solcava questo mare verde illuminato dalla luce calda di quel pomeriggio di inizio giugno del 1982 che tutto incendiava. Eravamo partiti da Bologna per trascorrere il sabato sera al Cosmic e passare poi la notte sul Garda. Avevamo deciso di partire per tempo nel primo pomeriggio per fare con calma le strade secondarie tra le campagne della pianura padana al solo scopo di risparmiare i soldi dell’autostrada.  Partimmo verso le 15 quando il caldo era massimo e l’afa avvolgeva tutto in un sudario insopportabile. Ancora avevo in mente la faccia di mio padre, seduto in cucina, a mangiare una fetta di cocomero fresco, appena uscito dal frigorifero, il volto arrossato e tormentato dal caldo in canottiera e con un piccolo asciugamano in spugna avvolto attorno al collo per detergersi dall’abbondante sudore che gli colava in stille da per tutto.  Appena mi vide uscire, pronto per partire, mi urlò dietro divertito che eravamo matti. E aveva ragione. L’auto era rovente e dentro faceva già un caldo pazzesco. Per tutto il viaggio nonostante i finestrini perennemente aperti nella DS azzurra di Zanna non trovammo mai pace dall’afa opprimente. Oltre al mio amico, seduto al posto di guida, c’ero io di fianco a lui, dietro, Biccio e il Rosso. Come solito il Rosso era intento a rullare spinelli con la solita perizia certosina. Così oltre al caldo opprimente che permaneva come una cappa, l’abitacolo era pieno di fumo e noi ne eravamo impregnati a tal punto che i nostri vestiti odorarono di hashish per molto tempo. Mano a mano che macinavamo chilometri parimenti saliva anche la nostra fattanza ed eravamo già in quello stato di benessere generalizzato dove nulla ti importava più figurarsi il caldo. Ridevamo per un nonnulla e il buon umore indotto dalla sostanza regnava sovrana. Il paesaggio attorno a noi non cambiava mai e sembravamo come se girassimo a vuoto, gli stessi paesi, le stesse case da contadini e gli stessi campi, ripetuti quasi all’infinito. Zanna a un tratto si fermò in mezzo al nulla. Eravamo su una strada di campagna in questa pianura piatta priva di rifermenti, persi come eravamo pure noi.

«Dove cavolo siamo?» domandai.

«Boh!» mi rispose Zanna.

«Ma l’abbiamo passato il Po’» tornai alla carica.

«Mi sembra» mi rispose ridendo.

Il Biccio stava pisciando in un fosso seguito dal Rosso sempre con la sigaretta in bocca.

«Guarda quei due» feci notare a Zanna.

A Zanna scappò un altro sghignazzo.

«Ho fame» proferii guardando i due che orinavano mentre la risatina di Zanna che si era trasformata in uno sghignazzo continuato mi contagiò.

«Che avete da ridere voi due scemi» ci apostrofò il Rosso che si stava tirando su la lampo della patta dei pantaloni allontanandosi dal fosso.

«Chi noi? Niente», riuscii a dire balbettando per poi scoppiare in una risata piena.

«Demente» sibilo divertito il Rosso.

«Ma abbiamo passato il Po?» tornai a domandare.

«Ma sei scoppiato?» Mi incalzò Zanna, «hai voglia, da un pezzo, dovremmo essere vicini a Mantova.»

«Cosa aspettiamo allora?» disse il Biccio che era tornato tra i vivi anche lui.

«Forza in macchina allora», ci esortò Zanna.

Ripartimmo ilari proseguendo in quel nulla sconosciuto fatto di pianura padana, mentre la luce del pomeriggio si colorava di arancio, mano a mano che si avvicinava la sera.

Io avevo tirato fuori la cartina dell’Italia che Zanna si portava sempre dietro in auto. Seguii col dito il viaggio fatto sulla mappa. Eravamo partiti da Bologna passando per San Giovanni in Persiceto, Mirandola, Concordia sul Secchia, San Benedetto PO. E ora? Dove cavolo eravamo? Guardavo con avidità fuori dal finestrino e finalmente il primo paese che incontrammo fugò i miei dubbi. Bagnolo San Vito nel Mantovano. Sì! Avevamo passato il Po pensai contento. Mancava poco a Mantova.  Sprofondai soddisfatto sul sedile morbido e fatto come un copertone mi addormentai beato.

«Sveglia!»

Con uno scossone fui risvegliato da Zanna.

«Dove siamo?»

«Dove siamo?» Scimiottò Biccio.

«Siamo a Peschiera» Mi rispose Zanna che mi osservava divertito.

«Che cassa che ho» mormorai.

«Andiamo a mangiare dai!» Sollecitò il Biccio.

«Troviamo una pizzeria sul lungolago» gli fece eco il Rosso.

La fame chimica aveva preso il sopravvento ed eravamo molto affamati, così ci mettemmo a cercare un locale che ci piacesse lungo lago cosa affatto difficile in quel luogo di villeggiatura.

Mangiammo senza quasi fare caso al cibo ordinato presi come eravamo a spararle un tanto al chilo, eccitati per la serata imminente al Cosmic.

Finito di mangiare passeggiammo e ci fermammo su una spiaggetta ghiaiosa là dove il lago faceva un’ansa. Il rosso non perse tempo a rullare qualche spinello. Uno per digerire e qualche altro per il dopo.

«Mi metto avanti col lavoro» disse, «così ho più tempo per le ragazze.»

«Sì le ragazze se va bene saremo talmente fuori che sai le ragazze che fine faranno.» pontificai.

«Ma devi sempre rompere le uova nel paniere tu?» sbottò il Biccio allungandomi un lopez sul braccio. Anche se mi fece male scoppiai in una risata piena.

«Si chiama osservazione della realtà comparata con l’esperienza passata» asserii cercando di essere serio.

«Cavolo dici Lungo. Il fumo ti sta dando al cervello.» sentenziò Zanna.

«Forse per te questo assioma non vale ma per loro…» e indicai col dito indice gli altri miei due amici.

«Lungo vai a quel paese» farfugliò il Rosso che in bocca aveva un filtrino e stava rullando l’ennesima canna.

«Dai Biccio raccontami della volta scorsa che abbiamo fumato tanto come è finita? Ricordate voi due esagerati come vi ho trovato?»

«Dove?» domandò il Biccio aggrottando la fronte come per riordinare le idee.

«Al Chicago. Sabato scorso.»

«Non ricordo» mi rispose il Biccio grattandosi la testa.

«Appunto. Vedete? Te eri in uno stato pietoso con il Rosso su in galleria e con chi eravate?»

«Soli?» sghignazzò Zanna.

«Ecco» rimarcai io.

«Vaffaculo Lungo» smoccolò il Biccio, «C’eravate anche voi due fenomeni.»

«Vero per un po’, poi siamo andati a fare un giro mentre voi due vi massacravate di spinelli. Vero Zanna?»

Zanna fece di sì con un cenno convinto del capo.

«Voi due su e io sono finito a limonare con una tipa di Modena mentre il Lungo era con una ragazza ma non so nulla.»

«Ah! Beh ma voi siete due fenomeni lo sappiamo» aprì bocca finalmente il Rosso.

«Scelte» risposi, «preferisco ancora stare con una ragazza io.»

«E quel sabato sei stato con una ragazza?»

«Che curiosoni che siete.»

«Allora?» mi incalzò il Rosso sempre intento a finire il suo lavoro.

«Ero con una tipa di Piacenza.»

«Niente lingua?» continuò il mio amico

«No! Abbiamo chiacchierato molto. Ma sai ci siamo appena conosciuti, la marco stretto.»

«Allora hai fatto come me e il Biccio. Cioè un cazzo.» e sbottò a ridere trascinandosi nell’ilarità gli altri due.

«Che stronzi che siete e pure zotici» e li mandai a quel paese.

Scoppiammo a ridere. Mi sentivo bene, stavo bene lì su quella ghiaia, senza pensieri e senza problemi che mi tormentavano la testa. Se questa era la felicità ne volevo un pezzo tutto per me. Del resto cosa potevo volere di più, ero libero, non stavo con nessuna, dovevo solo fare la fatica di pensare un po’ a me stesso, godermi l’amicizia di chi mi era vicino in quel momento e poco altro. Respirai a pieni polmoni l’aria che aveva rinfrescato un poco dando refrigerio a una giornata caldissima, papere galleggiavano a pochi metri da noi attratte dal baccano che facevamo, curiose. Tutto era tranquillo e pace e provai una bellissima sensazione come di calore.

Zanna finì di dare l’ultimo tiro alla canna e la schiccherò in acqua disperdendo le papere curiose.

«Dai che andiamo» disse………

Fine prima parte

3 thoughts on “Columbus Stories

  1. Grande Andre, come vedi alla fine sono riuscito a rientrare nel mio profilo, bello bello davvero, oltre alla storia e a riconoscere che l’hai scritto tu, è coinvolgente perchè, almeno io, mi ci ritrovo dentro e leggendo associo a storie capitate durante i viaggi di allora con la mia compagnia, grazieeeeee!!!!!!

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