I Ragazzi del Columbus

Dopo lungo tempo ho deciso di rendere liberamente fruibili i primi due capitoli del libro. Oggi posterò la prima parte. Spero che gradirete. Un abbraccio alla tribù in attesa del raduno del 4 agosto al Living di Misano. Ciao


Capitolo 1

                              A zonzo avvolti dalla nebbia.

Il Rosso, che mi sedeva dietro, mi passò la canna che aveva appena finito di rollare. Ne tirai due grandi boccate a pieni polmoni, restituendo una fumata dall’inconfondibile aroma che riempì presto l’abitacolo.

La notte era scesa rapida in quella fredda giornata di gennaio dell’83. Una nebbia lattiginosa, come fumo denso nascondeva i contorni della Bolognina, il quartiere dove abitavo. Era sabato sera, e con il Biccio e il Rosso ero sulla mia Renault 4 GL beige. Andavamo a Baricella per ballare al Chicago.

«Allora, Lungo? Hai davvero rotto con la Monica di Modena?», mi domandò il Rosso.

«Sì, abbiamo rotto. Anzi, mi ha mollato lei, la stronza», replicai lapidario mentre passavo la canna al Bicciardi, detto il Biccio, che mi sedeva a fianco.

«Mi dispiace, Lungo, e guarda che sono sincero», mi assicurò il Rosso.

Alzai le spalle per dire che non me ne fregava, e invece me ne fregava, eccome se me ne fregava, ma non volevo darlo a vedere ai miei amici.

Il Biccio,  che di nome faceva Mauro ed era un ragazzone grande e grosso con una testa riccia di capelli lunghi, mi diede una pacca sulla spalla, bella forte. «Ben fatto, caro, così adesso sei libero come noi, sei un uccellino fuggito dalla gabbia pronto a scopare altre passere, che bella notizia.» Rise sguaiatamente mentre tirava grandi boccate dalla canna. Al Biccio non mancava certo l’intelligenza né l’arguzia tipica dei contadini della bassa bolognese, ma di sicuro non aveva l’educazione di un lord Inglese. I suoi modi


un po’ rudi erano la corazza di un animo molto sensibile e generoso, ed io, che avevo imparato a conoscerlo, col tempo avevo finito per adorarlo.

Io e lui ci eravamo conosciuti una sera d’estate durante una delle mie scorribande in bicicletta da nonna Ada, dove mamma portava spesso me e mio fratello più piccolo durante le vacanze scolastiche. Nonna Ada, vedova di guerra, viveva in una grande palazzina di nuova costruzione a Castelmaggiore, paese della Bassa Bolognese, là dove i campi coltivati lambivano i primi abitati e dove i segni del grande boom economico, in quei primi anni Sessanta, emergevano anche nella provincia modificando per sempre il panorama urbanistico delle campagne.

Il podere che confinava con la casa di mia nonna era proprio quello dei Bicciardi. Una sera di giugno, complice il grande caldo, dopo aver cenato ero sgattaiolato con la bici tra i campi coltivati vicino a casa. Ben presto, stanco di pedalare, mi ero messo per noia a tirare sassi nel grande stagno popolato dalle rane, che era dentro alla proprietà dei genitori del Biccio. Ero talmente preso a tirare sassetti arrotondati nell’acqua melmosa dello stagno da non accorgermi che lui e i suoi amici, cavalcando le loro biciclette, mi erano arrivati alle spalle.

«Ehi, tu! Smettila, che stai facendo? Mi spaventi tutte le rane, vattene dal mio stagno.»

Mi girai di scatto: un bambinone dalla testa riccia, tutto paonazzo in volto, buttata giù la bicicletta, mi veniva incontro con bellicosi propositi. Appena si avvicinò mi spinse, senza tanti complimenti, così forte da farmi finire in acqua. Il Biccio e i suoi amici risero e, quando mi videro tutto zuppo d’acqua melmosa guadagnare la riva, cominciarono a prendermi in giro. Le loro risa di scherno mi fecero avvampare dalla rabbia: mi scagliai con tutta la forza contro il mio grosso avversario roteando i pugni. Finì che ce le suonammo di santa ragione, lì sull’argine dello stagno, e io rimasi, con mia grande sorpresa, vincitore quando un mio pugno del tutto casuale lo colpì sul naso facendolo sanguinare. Il Biccio alla vista del sangue piagnucolò spaventato, mettendosi poi a correre verso casa. Quando mostrai i pugni anche ai suoi amici in segno di sfida, si dispersero velocemente pedalando fuori dalla mia vista.

Tornato di corsa a casa tutto pesto e bagnato, mi buscai una bella ramanzina da nonna che mi costrinse, molto arrabbiata, a raccontarle tutto l’accaduto. Il giorno dopo nonna Ada mi trascinò per un orecchio a casa dei Bicciardi per chiedere scusa per la violenta baruffa. Finì che io e il Biccio facemmo pace e da quel momento diventammo, come spesso capitava tra ragazzini, inseparabili.

«Falla finita, Biccio, e passa anche a me quella canna che me la finisci tutta», lo apostrofò il Rosso per non sottostare all’immancabile destino di doversi tirare il filtrino e poco altro quando non era lui ad accendere la canna.

Il Rosso, che di nome faceva Renzo Gazzotti, era rosso di capelli e di passione, ed era il mio compagno di scuola fin dalle elementari. Eravamo nati lo stesso anno, io in marzo e lui in luglio, e abitavamo nella stessa via, a pochi civici l’uno dall’altro, alla Bolognina. Le nostre strade a livello scolastico si erano divise quando, finite le medie, io scelsi il liceo Scientifico e lui le scuole tecniche. Di fatto la nostra amicizia non ne aveva risentito, almeno fino al conseguimento dell’agognato diploma: mentre io mi ero iscritto all’Università nella mia città, il Rosso era partito per la naia. Quell’anno di servizio obbligatorio in divisa lo aveva cambiato nel profondo. Per superare le frustrazioni della vita militare e i soprusi del nonnismo subito in caserma era diventato un cannaiolo impenitente. E non aveva più smesso.

Appena ci inoltrammo nel cuore della campagna, il buio e la nebbia finirono per inghiottirci completamente e la guida divenne difficoltosa.

«Maledetta nebbia!», sbottai, «Non si vede nulla, zio prete.»

«Stai calmo, Lungo. Tieni, fatti una tirata», mi suggerì il Rosso passandomi un’altra canna.

Il Biccio, preoccupato di rimanere senza niente, sbuffò contrariato. «Oh! Lasciatemene un tiro, ragazzi.»

Fumavo nervosamente mentre guidavo a naso in quel nulla niveo, fidandomi più del mio istinto che di quel po’ di strada che supponevo di intravedere.

Finalmente, dopo un viaggio che parve eterno, arrivammo a Baricella. Imboccando la via Pedora l’insegna del Chicago ci accolse e guidò come un faro fino all’ingresso del locale…….

Fine prima parte…..

4 thoughts on “I Ragazzi del Columbus

  1. Ciao Andrea,

    Io non ti conosco personalmente, mi chiamo Cristina, sono di Mantova e sono amica da una vita con l’Annalisa compagna di tante avventure, la Niky, l’Alessandra e Paolo.
    Abito in America da diversi anni.
    Non ricordo bene come ho trovato il tuo blog, ma immagino sia stato un link su Facebook e ti seguo da un po’.
    I tuoi post mi riportano indietro nel tempo e, anche se personalmente non ho vissuto nel tuo gruppo, le tue avventure sono molto familiari.

    Mi piacerebbe moltissimo acquistare il tuo libro…l’ho cercato su Amazon, ma non lo trovo. sai se sarà disponibile anche qui?

    Cristina

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    • Ciao Cristina dovresti trovarlo su Amazon usa so che 3 o 4 ragazzi che vivono in Usa lo hanno fatto Uno abita a new york prova a cercarlo lì e poi mi dici. Ci tengo davvero. L’Annalisa mi sa che lo ha comperato lei. magari glielo chiedo fammi sapere ciao

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  2. Grazie mille caro Andrea

    Il Gio 25 Lug 2019, 11:16 Quelli che andavano al Typhoon ha scritto:

    > castagniniandrea posted: ” Dopo lungo tempo ho deciso di rendere > liberamente fruibili i primi due capitoli del libro. Oggi posterò la prima > parte. Spero che gradirete. Un abbraccio alla tribù in attesa del raduno > del 4 agosto al Living di Misano. Ciao Capitolo 1 &nbs” >

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